Il Golfo di Sant’Eufemia Lamezia è stato, per le sue favorevoli condizioni climatiche, l’ambiente ideale per la riproduzione dei Tonni della specie Thunnus Thynnus e sulle coste calabresi, sin dall’antichità, si ebbe la maggiore concentrazione di tonnare ad alte produzioni. Da alcuni documenti storici la più importante risulta essere stata quella di Pizzo, “la Grande”, creata nel 1457, una delle più antiche. Successivamente ne nacquero altre due, esistenti fino agli anni sessanta.
Le Tonnare rappresentavano centri di operosità che coinvolgevano molteplici attività e svariati interessi. Erano una grande fonte di ricchezza per il sostentamento della popolazione locale per le ampie disponibilità di lavoro, non limitate al solo periodo della pesca ma estese a tutto l’arco dell’anno.
Infatti, nel periodo invernale i tonnaroti riparavano le vecchie reti, ne fabbricavano delle nuove, calafatavano le numerose imbarcazioni (che per tradizione erano di colore nero per mimetizzarsi alla vista dei tonni), effettuavano la manutenzione dei cavi d’acciaio, delle ancore ed erano dediti a tanti altri lavori di preparazione.
La Tonnara “fissa” era un sistema di pesca importato dagli arabi intorno all’anno mille sulle coste della Calabria e della Sicilia. Costituita da un complesso sbarramento di reti immerse nel mare, permetteva di intrappolare i tonni durante il passaggio lungo la rotta della loro “migrazione genetica”, nel periodo primavera-estate.
“La Tonnara Grande” di Pizzo veniva fissata in mare ai primi di aprile, ma la pesca vera e propria avveniva nel periodo maggio-giugno con la cattura del cosiddetto “tonno di corsa” e nei mesi luglio-agosto, durante il viaggio di ritorno dopo la deposizione delle uova, con la cattura del “tonno di ritorno”.
La messa in mare della tonnara prevedeva un impiego ingente di uomini, circa sessanta, interminabili chilometri di rete, centinaia di ancore, “mazzare” (pietre) e galleggianti in sughero dette “ballette”. Tutto l’impianto era ancorato in prossimità della riva ad un grosso scoglio, detto della “catena”, da dove partiva verso il largo il “pedale”, struttura resistentissima che sorreggeva la rete di sbarramento, capace di sopportare le forti correnti marine e le mareggiate.
Il sistema di reti a forma di rettangolo chiamato “isola” era composto da una serie di camere comunicanti, cinque in tutto, attraverso le quali i tonni venivano avviati verso l’ultima, posta a ponente, denominata “camera della morte”, l’unica ad avere la rete anche sul fondo. La grande trappola senza via d’uscita scattava soltanto quando erano entrati abbastanza tonni e il gran capo assoluto, chiamato il “rais”, ordinava di sollevare la parte terminale del “cannamu” (rete mobile) che, alzata, fungeva da porta e chiudeva ermeticamente la camera.