La “tonnara fissa” era un antichissimo sistema di pesca costituito da un complesso sbarramento di reti collocate verticalmente dalla superficie al fondo e immerse nel mare. Partendo dalla spiaggia, le tonnare nostrane raggiungevano in genere il largo ad una distanza di circa due chilometri. L’impianto permetteva di intrappolare i tonni durante il passaggio lungo la rotta della loro migrazione genetica, nel periodo primavera-estate.
La “Tonnara Grande” di Pizzo veniva fissata in mare ai primi di aprile, ma la pesca vera e propria avveniva nel periodo maggio-giugno con la cattura del cosiddetto “tonno di corsa” e nei mesi luglio-agosto, durante il viaggio di rientro dopo la deposizione delle uova, con la cattura del “tonno di ritorno”.
La messa in mare della tonnara prevedeva un impiego ingente di uomini, circa sessanta, chilometri di rete, centinaia di ancore.
Tutto l’impianto era saldamente ancorato ad un grosso scoglio in prossimità della riva, detto della “catena”, da dove partiva verso il largo il “pedale”, struttura resistentissima che sorreggeva la rete di sbarramento, capace di sopportare le forti correnti marine e persino violente mareggiate.
Il sistema di reti a forma di rettangolo chiamato “isola” era composto da una serie di camere comunicanti, cinque in tutto.
Si partiva dalla «camera grande» posta nel lato nord, attraverso la quale i tonni venivano avviati verso l’ultima, posta a ponente, denominata “camera della morte”, l’unica ad avere la rete anche sul fondo.
La grande trappola senza via d’uscita scattava soltanto quando erano entrati abbastanza tonni e il gran capo assoluto, chiamato “raìs”, ordinava di sollevare la parte terminale del “cannamu” (rete mobile) che, alzata, chiudeva la camera.
La Tonnara era sostenuta da una serie di barche, la più grande delle quali “U Caparrassu” (“Capo Rais”), era quella da cui partivano tutti gli ordini. Le barche della tonnara, pesanti barconi anneriti dalla“impeciatura”, avevano una loro specifica nomenclatura, a seconda dei compiti da assolvere.
Una volta che i tonni erano intrappolati nella “camera della morte” avveniva la cosiddetta “mattanza”.
L’azione faticosa che i marinai svolgevano nell’arpionare e issare i grossi tonni a bordo delle barche, procedeva a ritmo del canto di un’antichissima nenia, “A levata”.